“Salonicco 1943”. Un capitolo di storia da ricordare

Marina Melchionda (February 24, 2010)
Il 18 febbraio 2010 il Centro Primo Levi di New York ha ospitato l’ultimo evento di quest’anno dedicato al Giorno della Memoria: l’opera teatrale “Salonicco 1943”, per la prima volta in inglese. Per l’occasione abbiamo intervistato uno degli autori dello spettacolo, l’ex Ambasciatore d’Italia in Israele e Grecia Gian Paolo Cavarai

Con “Salonicco 1943” al Centro Primo Levi di New York si chiude il ciclo di eventi dedicato al Giorno della Memoria. Il 27 gennaio 1945 venivano chiusi per mano sovietica i cancelli di Auschwitz, l’Italia (insieme ad altri Paesi europei) ha scelto questo giorno per commemorare il genocidio nazi-fascista ai danni del popolo ebraico. La New York italiana ricorda questo tragico periodo della storia europea con una serie di eventi che ruotano intorno a questa data (trovate approfondimenti negli speciali di i-Italy 2009 e 2010).
 

“Salonicco 1943” racconta una pagina di quell’epoca dimenticata per molti anni, persa nella coscienza collettiva italiana e non solo. I protagonisti della rappresentazione sono la comunità ebraica della città di Salonicco, che contava più di 50.000 membri, oltre la metà dei quali italiani, e il Console italiano Guelfo Zamboni, distintosi nello sforzo di salvare più di 500 vittime dall’efferata persecuzione nazista.  
 

Presentato dal giornalista e ricercatore presso il Centro, Alessandro Cassin, il regista Alan Andelson ha guidato con sapienza un cast d’eccezione nella prima rappresentazione in lingua inglese dell’opera che ha registrato il tutto esaurito. Applausi e commozione per  i protagonisti Robert Zukerman e Lily Bansen, accompagnati dalla magistrale interpretazione di Galeet Dardashti e Brandon Terzic di canti e musiche di tradizione sefardita.

 
I maggiori media italiani a New York, ed eminenti rappresentati delle comunità italiana, italo-americana, greca, ed israeliana locali, occupavano le prime file della sala. Con loro, il Console Generale d’Italia a New York Francesco Maria Talò con sua moglie Ornella; il Vice-Console Maurizio Antonini; il nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Riccardo Viale; e Stella Levi, membro del Board del Centro Primo Levi. Quest’ultima in particolare, nativa di Rodi, è una dei sopravvissuti all’Olocausto. Come  ha raccontato in altre occasioni, ha sperimentato sulla sua pelle, e visto con i suoi occhi, i fatti raccontati nell’opera. 

L’evento, reso possibile anche grazie alla sponsorizzazione dell’Alexandre Bodini Foundation, e di Joseph Mattone Jr, era sicuramente tra i più attesi del Calendario della Memoria.

Quest’ultimo, in particolare, ha detto ad  i-Italy con emozione di essere molto orgoglioso di aver dato un contributo alla sua realizzazione: “Ero solo un bambino quando lessi sul giornale delle stragi di Salonicco.
Nel mio quartiere di Brooklyn avevo moltissimi amici ebrei… lessi nei loro occhi, nell’espressione dei loro visi, il profondo dolore che quelle notizie davano. Decisi da allora che avrei fatto qualcosa per la mia comunità perché non dimenticasse mai quei momenti d’angoscia. Il teatro, come qualsiasi forma d’arte, può essere uno “strumento di memoria”. Ed oggi, in modo particolare, rimane forse tra i migliori mezzi che abbiamo per insegnare alle nuove generazioni la nostra storia, fare in modo che determinati crimini non accadano più, ed aprire noi stessi gli occhi su stermini che si compiono ancora oggi in diverse parti del mondo”.
 

Accanto a lui, poche poltrone vicine, sedeva l’ospite d’onore della serata, Gian Paolo Cavarai, l’ex Ambasciatore italiano in Grecia ed Israele, e attuale Consigliere Diplomatico del Senatore a Vita Carlo Azeglio Ciampi, ex Presidente della Repubblica Italiana. Insieme a Ferdinando Ceriani, regista teatrale e professore all’Università Luiss di Roma, e Antonio Ferrari, corrispondente del Corriere della Sera nel Mediterraneo e Medio-Oriente, ha ideato, scritto e strutturato quest’opera, promuovendola non solo in Italia, ma anche nei territori dove è stato in missione diplomatica, ed altrove.
 

Una delle caratteristiche principali di “Salonicco 1943” è sicuramente la semplicità, la quasi nudità della scenografia. Gli attori, con i loro movimenti, le loro parole, i loro visi, lasciano poco spazio a qualsiasi ingombro o suppellettile decorativo scenico che non sia funzionale alla storia.

Per buona parte della rappresentazione, il console Zamboni, interpretato da Robert Zukerman, rimane seduto alla sua scrivania illuminata solo da un fioco lume. L’attrice Lily Balsen, che rappresenta diversi membri della comunità ebraica di Salonicco, si muove invece frenetica, cambiando ruolo continuamente, ma mantenendo sempre sul viso le piaghe e le rughe tipiche dell’angoscia, della paura. Quelle che vengono anche a un bambino… quando sa di essere in pericolo.
 

L’alternarsi tra i due personaggi è scandito dai suoni e dalle musiche sefardite intonate da Galeet Dardashti. Risuonano ai nostri orecchi in tutta la loro profondità, acutezza, melodramma dei ritmi, mentre davanti ai nostri occhi si parano immagini d’epoca, foto che negano ogni spazio alla fantasia, e ci mettono davanti alla cruda realtà. Madri, anziani, neonati e bambini, insieme ai loro padri, mariti e figli, aspettano con il resto della famiglia di essere mandati al loro destino: Auschwitz, la Polonia, la morte quasi certa.
 

Immagini sempre più forti, crude, si accompagnano sul palco alle emozionanti interpretazioni dei due attori, presi da due tormenti paralleli tra loro, ma uniti dalla stessa fonte. Da una parte il Console Zamboni, che di fronte a quanto gli accade intorno, reagisce con forza, perseveranza, e disgusto, utilizzando ogni strumento a sua disposizione per salvare le vite delle migliaia di ebrei italiani residenti a Salonicco. Le numerosissime lettere al commando SS, all’”Ambasciata Reale d’Italia ad Atene”, al Ministero degli Affari Esteri a Roma, si rivelano spesso tentativi senza successo, ma non motivi di rinuncia alla sua missione personale.
 

Dall’altra parte, la comunità ebraica interpretata dall’esile attrice vestita di nero, testimonia con voci, grida, e parole tormentate le crescenti violenze psicologiche e fisiche di cui, in misura sempre maggiore, è vittima.
 

Nell’auditorium del Centro Primo Levi, un silenzio raro: nessuno muove un muscolo, tutti sono coinvolti, catturati, dallo spettacolo, dimostrando empatia verso le vittime, e un profondo senso di colpa che fa sentire anche loro un pò carnefici.

 
"Siamo tutti colpevoli. In misura maggiore o minore, nessuno di noi è estraneo a questa terribile tragedia”. Con queste parole, il Console Zamboni lascia Salonicco e il palco. Mentre cala il sipario, poche scritte sullo schermo sul fondo ci informano che il successore nel suo incarico continuò nella sua opera, riuscendo a salvare altre 300 vite. Li mandò ad Atene, ma purtroppo anche lì, per molti di loro, c’era un treno che li aspettava…

Un lungo applauso, di nuovo silenzio, poi un altro applauso. In sala alcuni testimoni dell’accaduto, alcuni discendenti della comunità di Salonicco, esprimono all’ambasciatore Cavarai tutta la loro stima ed il loro apprezzamento per l’enorme lavoro di ricerca svolto. “Avrò visto la rappresentazione di quest’opera una decina di volte almeno, ma questa è la prima volta che ho pianto”, risponde lui commosso.

Lo avevamo incontrato pochi giorni prima in consolato, avevamo capito quanto per lui fosse importante questo evento, e quanto si sentisse anche emotivamente coinvolto in questo lavoro. Riportiamo qui alcuni passaggi salienti della nostra intervista, un lungo incontro durato quasi due ore in cui l’Ambasciatore ci ha raccontato con minuzia di particolari il percorso compiuto da “Salonicco 1943” fino ad oggi. 

Da dove nasce l’idea di “Salonicco 1943”?  
Ai tempi in cui ero ambasciatore in Israele, organizzai una conferenza di presentazione di un saggio di uno storico di origine italiana, Daniel Carpi, allora professore all’Università di Tel Aviv. Nel suo "A New Approach to Some Episodes in the History of the Jews in Salonicco during the Holocaust. Memory, Myth, Documentation", aveva ripercorso la storia della comunità ebraica di Salonicco durante l’occupazione nazista, raccogliendo rapporti e documentazioni presso gli archivi del Ministero degli Esteri di Roma. Particolare risalto aveva nel suo libro la figura del Console Guelfo Zamboni, dipinto come un eroe, un diplomatico che approfittando della vicinanza del governo italiano a quello tedesco, si era speso e messo in gioco per salvare la vita di centinaia di connazionali (e non) ebrei.

Rimasi molto colpito dai fatti raccontati, e mi ci imbattei di nuovo quando fui trasferito ad Atene. Lì incontrai Antonio Ferrari, corrispondente del quotidiano “Il Corriere della Sera” per il Mediterraneo e il Medio-Oriente. Conosceva molto bene questa storia e la figura del Console Zamboni, e aveva deciso già da qualche tempo di scriverne. Era un momento in cui in Italia ancora poche persone econoscevano queste vicende. Succede spesso, infatti, che per dimenticare un capitolo vergognoso della storia di un Paese, si finisce per cancellarne anche le pagine buone. E senz’altro quella del console Zamboni era una di queste…
 

Fu così che decidemmo di organizzare un simposio dedicato al tema. In quell’occasione, incontrammo il regista teatrale Ferdinando Ceriani che lesse durante i lavori della conferenza alcuni passi dal libro di Carpi. La sua interpretazione drammatica, teatrale, ci diede la spinta necessaria per avviare il progetto di “Salonicco ‘43”.  La Professoressa Alessandra Coppola, lo scrittore Jannis Chrisafis e Antonio Ferrari si dedicarono subito alla stesura di un libro"Salonicco's Jews 1943 – Italian humanity documented", sponsorizzato e regalato come strenna natalizia da Impregilo, un gruppo di imprese con sede in Grecia cui presidente era Italo Coscione. 

Quando poi divenni consigliere diplomatico per l’ex Presidente della Repubblica, il Senatore a Vita Carlo Azeglio Ciampi, decisi finalmente di dedicarmi alla stesura del lavoro teatrale insieme al Dr. Ferrari e al Prof Ceriani. Ci sono voluti due anni di ricerca e lavoro…

Da come ne parla sembra un grande appassionato di teatro…

Si, la mia passione nacque quando avevo 18 anni. I professori portarono tutta la mia classe a vedere l’ “Otello” di Shakespeare al Quirino di Roma. Non avrei mai potuto avere un’iniziazione migliore al mondo del teatro, dato che gli interpreti principali erano Vittorio Gassman e Salvo Randone. Decisi di iscrivermi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvo d’Amico” ed iniziai alcuni corsi di regia.

Gli impegni universitari mi costrinsero però ad abbandonare questo “studio per passione” e a dedicarmi completamente alla carriera diplomatica. Ho sempre comunque tentato di portare avanti questo mio interesse, ed anzi di promuoverlo nei territori in cui sono stato in missione chiamando dall’Italia artisti, attori, ed interpreti, ed organizzando diverse rappresentazioni e rassegne volte a valorizzare il teatro italiano nei Paesi in cui risiedevo di volta in volta

 
Quando ha presentato per la prima volta “Salonicco 43” al grande pubblico?

Era il 23 settembre 2008, Università di Tel Aviv. Sapevamo che non era né il momento né il luogo migliore per un’opera di questo genere, che affronta argomenti così delicati ancora oggi, ma da qualche parte dovevamo iniziare. Inoltre, non abbiamo mai concepito “Salonicco 43” come un lavoro indirizzato esclusivamente alla comunità ebraica. Anzi, riteniamo l’Olocausto un tema universale con cui tutti dovrebbero confrontarsi, un momento della storia da non dimenticare.
 

Non posso certo dimenticare con quanta attiva partecipazione fummo sostenuti a Tel Aviv. Avevamo ottenuto i finanziamenti necessari da tre sponsor: una delle banche più importanti di Israele, la Bank Hapoalim; la famiglia Recanati, essa stessa originaria di Salonicco, e il businessman Buno Lansperg.
 

Ancora reduci dal successo del debutto, dopo quattro giorni ci spostammo a Salonicco…
 

Come ha reagito la cittadinanza di Salonicco alla messinscena dell’opera? 
Fummo molto fortunati in quel caso, perché il nostro evento era inserito in uno di più ampio respiro, il Festival “Demetria”, organizzato dal Comune. Così, mentre beneficiavamo del loro ufficio stampa e dei centinaia di manifesti che annunciavano lo spettacolo per l’intera città, ricevemmo i finanziamenti necessari da Impregilo, Italgas, e dalla comunità ebraica di Salonicco. Sebbene ben più piccola rispetto al passato, riesce a mantenere vivo il ricordo del console Zamboni tra i suoi membri ed eredi, dedicandogli addirittura un’ala del Museo ebraico della città.  
 
Ha mai portato lo spettacolo in Italia? 
Si, il 22 Novembre del 2008 ci fu il debutto italiano alla Biennale di Venezia, Sezione Teatro. L’auditorium che ci era stato messo a disposizione era molto più piccolo di quello di Salonicco e Tel Aviv, dato che contava solo circa 240 posti. Ma fu un’ottima cassa di risonanza per far conoscere “Salonicco 43” alla critica teatrale.
 

Subito dopo portai l’opera a Torino, dove avevo già molti contatti. Grazie alla mediazione di Dario Di Segni, beneficiammo del generoso sostegno della Compagnia San Paolo, mentre Evangelina Christillin, Presidente della Fondazione Teatro Stabile di Torino, ci mise a disposizione il Teatro Gobbetti, un gioiello dell’800 da 280 posti situato nel cuore della città. Anche in questo caso la rappresentazione dello spettacolo fu inserita nell’ambito di un festival “Il Festival delle Colline Torinesi”, un evento nato per iniziativa locale ma divenuto subito famoso su scala nazionale.
 

Anche per questioni di vicinanze geografiche, decisi di tentare anche la strada di Genova. Dario di Segni mi aveva assicurato il finanziamento della Compagnia San Paolo anche per un’eventuale performance lì, dovevo solo trovare il teatro. Mi rivolti al Teatro Stabile di Genova e decidemmo insieme che il luogo ideale sarebbe stato il Teatro della Corte, con più di 1000 posti. Fu una serata indimenticabile, le critiche positive furono innumerevoli e significative, un motivo d’orgoglio per me e tutto il cast.

Da chi era composto il cast italiano?

Guelfo Zamboni era interpretato da Massimo Wertmüller, nipote della regista Lisa Wertmüller, e attore di cinema, teatro e TV.  
 
La cantante era Evelina Meghnagi un’ebrea italiana di origine tripolina, della cui voce mi innamorai ai tempi in cui ero Ambasciatore ad Atene. La incontrai la prima volta al Festival Ellenico, lei recitava in una rivisitazione de “Le Memorie di Adriano”, e la sua voce non mi lasciò più. Quando quindi mi trovai a cercare una cantante per “Salonicco ‘43” non poteva che essere lei la mia prima scelta…
 

L’attrice che rappresentava invece la comunità ebraica era Carla Ferraro.  
 
Perché è importante presentare “Salonicco ’43” a New York, ed in particolare per il Giorno della Memoria?
 
Ci sono diverse ragioni per cui ho deciso di portare l’opera in questa città, ma ne voglio citare due in particolare.  La prima risiede nel fatto che New York ospita tre comunità importanti, sia dal punto di vista numerico che culturale, che potrebbero essere interessate al lavoro: l’italiana, la greca e l’ebraica. La seconda sta nel ruolo stesso che esercita questa città come polo teatrale internazionale. È sicuramente un’ottima vetrina ed il migliore punto da cui iniziare ad ipotizzare un tour in tutti gli Stati Uniti 
 
Quale è la prossima città dove vorrebbe presentare lo spettacolo?

  Vorrei senza dubbio portare lo spettacolo a Washington entro Aprile. Se qui ho trovato l’entusiasmo del Console Generale Francesco Maria Talò e del direttore del Centro Primo Levi Natalia Indrimi, nella capitale ho un accorato sostenitore nell’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, che mi ha manifestato tutto il suo appoggio e mi ha offerto l’assistenza sua e dei suoi più stretti collaboratori affinché il mio progetto vada a buon fine.

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