Volando sopra la 20esima

Fabio Volo (dice...) non supera mai la 20esima strada di Manhattan perchè poi "ci sono troppi grattacieli". Ma alla nostra redazione, sulla 43ma, ci arriva, anche se ancora assonnato dopo una notte di radio. Due ore insieme, chiacchiere e tanto tanto ridere. Eccovi il video, e l'intervista...quasi integrale, punto per punto



i-Italy è riuscita nell’apparentemente improbabile impresa di trascinare Fabio Volo un po’ più su della 20sima strada di Manhattan. Lui, che nel Greenwich Village ha trovato la sua dimensione ideale, interpreta un po’ la parte del matto del villaggio, quello preso poco sul serio - e che si prende poco sul serio - qualsiasi cosa dica; il giullare di corte che mette in scena la realtà (a volte tragica) coprendola di risate. In realtà è amatissimo e come tutti i giullari, è segretamente malinconico e riflessivo.

 

Arriva al nostro appuntamento in redazione in ritardo e ancora assonnato, perché la notte trasmette da New York il suo programma radiofonico su Radio Deejay – Il Volo del Mattino. "Non rispondo di me", ci dice, e si guarda intorno con la faccia del ragazzino che si è svegliato in un posto che non conosce, dopo una notte di bagordi.

 

Ad attenderlo (ancora non lo sa!), una tavola rotonda prevalentemente di donne che per circa un’ora  e mezza lo assale con una serie di domande sull’Italia, l’America, la scrittura, il suo ultimo romanzo “Il tempo che vorrei”, l’amore, il sesso, e molto, moltissimo altro.  

Come scrittore, dicevo, nel mio paese non vengo preso molto sul serio, perché il mio percorso artistico si allarga su diversi territori e in Italia c’è poco spazio, il mercato è piccolo e la mentalità provinciale.  

UN POSTO NEL MONDO

Qualcun altro sceglie di fare il viaggio di ritorno verso casa, come Ulisse, ma non è un viaggio facile, perché gli altri (e a volte anche tu stesso) ti identificano con quella roba che ti sei messo addosso. Quell’armatura soffoca, ti sveglia in piena notte senza farti capire perché, e ti separa dal mondo.  

Io amo molto la solitudine, anche quando sono a casa.

 

Andare soli per il mondo è come vivere una sorta di solitudine amplificata che ti permette di aggiornare te stesso, di resettarti. Ti misuri necessariamente con cose che di solito dai per scontato.

 

Per partire ci vuole coraggio. Molti dichiarano di non partire perché non hanno soldi, ma per viaggiare non servono i soldi, quelli servono per andare in vacanza. Ovunque andassi ho sempre incontrati ragazzi che con pochi soldi erano partiti e avevano trovato qualche lavoretto per mantenersi, anche solo per sei mesi.

 

Viaggiando aumenta il grado di consapevolezza. Ciò che impari viaggiando lo impari più velocemente.  

IL RAPPORTO CON GLI AMERICANI

Non credo di essere eccentrico perché vivo un po’ qui, un po’ a Milano o Parigi. Semplicemente è la mia scelta di vita.  

Gli ITALIANI NEI MEDIA

A NY puoi fare tutto, puoi fare la spesa alle 2.00 di notte, puoi andare ai concerti, al cinema, ma non sei costretto. E poi sei solo. A me piace la solitudine costantemente stimolata, per cui la mia solitudine è una scelta. Capisco che però possa essere difficile vivere qui sempre, io ci sto pochi mesi l’anno.

 

Io vivo anche una condizione diversa, perché in Italia è chiaro che ho una condizione sociale particolare. Lì sono riconosciuto, sono un personaggio. Qui sono una persona. E tra le due cose non c’è paragone. Dal punto di vista emotivo e della qualità della vita non c’è paragone. Chi pensa che essere una persona famosa renda felici, lo dice perché quella cosa non ce l’ha, perché in realtà è nell’anonimato la vera felicità. Nell’essere una persona, non un personaggio.

OBAMA 

Per quanto io abbia tifato per lui, e durante il programma italo-americano andavamo in giro con le bandiere, resta  sempre il presidente degli Stati Uniti d’America.

 

Quello che mi piaceva, più che Obama in sé, era quello che rappresentava: la riscossa, la possibilità di credere che si può fare. Questo porta entusiasmo nelle persone, e sono le persone poi che con l’entusiasmo producono i veri cambiamenti. Poi gli hanno dato anche il premio Nobel per la pace, forse si sono fatti prendere un po’ la mano. 

Io non credo che Berlusconi vinca perché va in televisione, perché va da Fede o perché le sue televisioni parlano bene di lui. Io credo che ci sia stato tutto un lavoro dietro molto più profondo, calcolato e fatto veramente bene (anche se nel male). Sul fatto che Berlusconi sia un uomo capace io non ho alcun dubbio, poi l’utilizzo, e cosa produca questa capacità, a me personalmente non piace.

 

A me l’idea di mondo che ha Berlusconi, che ha la Lega non mi rappresenta. Quando uno vota, vota anche un’idea di mondo.

Io vengo da una città in cui la Lega ha il 25%, sento i miei  amici parlare ancora di “noi”, “loro a casa loro”.

 

Poi vengo qui ed esco a cena e trovo l’amica cinese, iraniana, turca.

Berlusconi ha preparato il terreno prima di scendere in campo. Lo ha seminato e coltivato nel corso di vent’anni. Quando si fa un solco nel tessuto sociale con una serie di programmi che parlano non di politica, ma di valori, hai una visione del mondo al ribasso.

 

Lui ha cambiato prima l’elettorato e la cultura del paese e poi è sceso in campo. Rappresenta la cultura che ha cambiato.  

Il problema della provincia è che lì conta ciò che tu hai, più di ciò che sei. Se sei diverso, se vieni da un altrove, sei automaticamente un nemico.

 

Per fortuna i figli dei miei amici vanno a scuola con bambini di altre culture, per loro non sarà un problema come lo può essere stato per la generazione prima di me.  

 

L’idea della Lega non può vincere, perché è come buttare indietro l’acqua del mare con un secchio. Può solo rallentare il processo, ma la strada del mondo va in quella direzione lì.

Avremmo avuto bisogno di una guida, non di persone da votare perché uguali a noi, ma di persone più sagge che potessero canalizzare questo momento storico, invece di contrastarlo.  

 

La nota ottimista è che sfortunatamente, o fortunatamente, si muore. Muore tutto. È morto l’Impero Romano, morirà anche questo stile di vita. 

Il razzismo non c’è solo verso bianchi, neri gialli… io stesso sono razzista verso gli stupidi ad esempio, non riesco a sopportarli. Due settimane fa ho conosciuto una ragazza russa a una festa che mi ha detto “io sono russa, ma non come quelle che vengono da voi in Italia… perché so che vengono le russe che vogliono sposarsi con i ricchi…” mi ha fatto ridere…

IL LAVORO

La mia comunicazione si basa su un’onestà di fondo. Non mi sono mai venduto per qualcosa che non sono. Non ho mai preteso di dire io sono/faccio questo. Per fortuna o sfortuna, non essendo andato a scuola, non sono cresciuto nella prospettiva per cui facendo qualcosa ottenevo un voto, non vivo nell’accettazione da parte dell’altro (il maestro, il capo, l’allenatore …). Una volta che so di aver dato il massimo, per me quella cosa vale. Non sono interessato a conquistarmi l’appartenenza attraverso l’approvazione altrui. Mi interessa raccontare onestamente quello che vivo.

 

Non scrivo cose populiste per piacere. Mi piace far piacere le cose che mi piacciono, questo sì. Siccome sono anche molto egocentrico e presuntuoso, mi piace convincere la gente con le mie opinioni. Ma è sempre stato così, anche nel mio rapporto famigliare, dove ho cercato di farmi accettare per quello che sono.

 

In questo paese vieni giudicato per quello che fai nel momento in cui lo fai. Se fai un film, ti giudicano per il film che hai fatto, non stanno a pensare se la sera fai anche un programma televisivo.

 

Will Smith è emerso dalla serie Il principe di Bel Air ed ora è  uno degli attori più quotati di Hollywood.

 

In Italia il mercato è talmente piccolo, che se mi chiamano per fare un film dopo che ho venduto milioni di copie con un libro, posso capire che un attore che investe una vita in quello e non ci riesce, poi mi odi. Poi io faccio anche la radio, scrivo i miei programmi Tv.  

MTV è settoriale dal punto di vista del target. Anche in Italia la televisione sta prendendo la direzione che qui oramai domina dei reality. Non so se sia una cosa che viene dall’alto, dal potere che vuole rincoglionire una generazione intera, o sia semplicemente una sorta di vuoto di valori che si ripete ciclicamente. Gli anni 60 e 70 erano gli anni dell’impegno, della partecipazione, sono seguiti gli anni 80 e 90 del totale disimpegno, poi sono arrivati Manu Chao e tutti gli altri del movimento No Global. È un’onda che va e viene. Qui sono più avanti e ormai sono alla frutta. Se esci il sabato sera sono tutti ubriachi da buttar via, ma lo sono anche a Torino e Milano. È una generazione abbandonata a se stessa.

 

Da una parte è squallidissimo, dall’altra è un bene per chi non si lascia distrarre, perché c’è una massa di gente che verrà automaticamente eliminata dalla competizione. 

“si”

“e c’è qualcosa di naturale in quello, che fa lei rimane in cinta?

“no, ma che c’entra è piacere…”

“ecco appunto, e quale è la differenza?” 

Innamorarsi di due persone diverse è più faticoso che amarle. L’innamoramento è un’alterazione di una cosa, un trip… io amo più di una donna sicuramente, per sempre tra l’altro.

 

Non ho mai pensato che una donna fosse “mia”. Ci sono ancora delle donne che danno un valore a se stesse in base a quello che qualcun altro pensa di loro. Io non posso stare con una donna per la quale la mia scelta è il suo pensiero di essere speciale. Io voglio una donna che abbia fatto quel viaggio lì da sola, che lei stessa si dia il valore che ha, e non voglio essere il professore che le da 10 o 8. Perché altrimenti io divento lo spacciatore e lei la tossica



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Domande da Letizia Airos, Marina Melchionda, Alessandra Grandi, Benedetta Grasso, Julian Sachs, e Francesco Carnesecchi.
Un ringraziamento particolare va ad Anthony Tamburri per l'ospitalità nel suo studio di Dean al Calandra Institute.






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